"La Cina in dieci parole" (十個詞彙裡的中國) è un breve saggio del 2011 dello scrittore cinese Yu Hua, emerso negli anni '80 fra gli scrittori di avanguardia per i suoi libri che parlavano soprattutto di morte e violenza, tematiche che poi ha abbandonato negli anni '90.
Il libro nasce da una conferenza tenuta da Yu Hua nel 2009 negli Stati Uniti, in cui, in quanto famoso scrittore cinese, gli era stato chiesto di parlare della Cina contemporanea.
Come si intuisce dal titolo, il libro si impernia su dieci parole che lo scrittore considera particolarmente rilevanti per il suo Paese di oggi: "popolo", "rivoluzione", "taroccare", "intortare", "leader", "lettura", "scrittura", "Lu Xun", "disparità", "radici d'erba". Il libro quindi, dopo una breve introduzione, si divide in dieci capitoli ognuno dedicato ad una di queste parole. L'analisi di ogni termine avviene attraverso il racconto non cronologico di fatti pubblici e privati, soprattutto tratti da episodi realmente vissuti dall'autore, evidenziando lo slittamento di significato della parola in analisi avvenuto negli ultimi quarant'anni.
Alcune delle parole scelte danno anche la possibilità all'autore di raccontare come da dentista di provincia sia diventato uno scrittore famoso.
Visto che ho conosciuto Yu Hua con questo libro, non ho trovato particolarmente interessanti vari aneddoti sulla sua carriera e un certo darsi delle arie da scrittore di successo, con citazioni eruditissime e continue allusioni alle sue origini illetterate.
Invece gli aneddoti che racconta sono davvero interessanti, in particolare quelli sulla sua infanzia (finalmente leggo un punto di vista maschile su di un'infanzia maoista dopo le biografie di Jung Chan e Anchee Min).
Si capisce che la fama di scrittore di Yu Hua è meritata dal fatto che, malgrado racconti in modo discorsivo una serie di storie molto diverse, non si ha mai l'impressione di perdere il filo del discorso.
Ho trovato questo saggio un pochino pomposo, ma interessantissimo, da leggere cercare di capire la Cina attraverso uno sguardo cinese. L'ideale è leggerlo in abbinata a "Tre uomini fanno una tigre. Viaggio nella cultura e nella lingua cinese" di Nazarena Fazzari, un'italiana che ha studiato, vissuto e lavorato in Cina (recensione qui), che pure è un libro molto interessante e, come il precedente, si divide in capitoli, ognuno dedicato ad un concetto.
"China in ten words" (十個 詞彙 裡 的 中國) is a short 2011 essay by the Chinese writer Yu Hua, who emerged in the 80s among the avant-garde writers for his books that spoke mainly of death and violence, themes he abandoned in the 90s.
The book was born from a conference held by Yu Hua in 2009 in the United States, where, as a famous Chinese writer, he was asked to talk about contemporary China.
As the title suggests, the book is based on ten words that the writer considers particularly relevant to his country today: "people," "revolution", "copycat", "bamboozle", "leader", "reading", "writing", "Lu Xun", "disparity", "grass roots". The book after a brief introduction, is divided into ten chapters each dedicated to one of these words. The analysis of each term takes place through the non-chronological narration of public and private events, especially episodes actually experienced by the author, highlighting the slip of the meaning of the word over the last forty years.
Some of the words chosen also give the author the opportunity to tell how from a provincial dentist he become a famous writer.
Since I didn't know Yu Hua before this book, I did not find interesting the anecdotes about his career and he sometimes seems a bit to full of himself with erudite quotations and persistent hints to his illiterate origins.
Instead, the anecdotes he tells are really interesting, especially those about his childhood (I finally read a male point of view about a Maoist childhood after the biographies of Jung Chan and Anchee Min).
I understood that Yu Hua's fame as a writer is well-deserved by the fact that, despite he tells a variety of stories in a discursive way, you never have the impression of losing the thread of speech.
I found this essay a bit pompous, but interesting, to read try to understand China through a Chinese point of view.
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